15° secolo: LA MANDRAGORA

                          (The Manndrakes, Febbraio 1932)

 

Il Mago Gilles Grenier e sua moglie Sabine, giunti ad Averoigne non si sapeva dal quale regione del paese, avevano scelto con estrema cura il posto in cui sarebbe sorta la loro casupola.

Il tugurio era vicino a quelle paludi attraverso le quali le acque pigre del fiume Isoile, dopo aver lasciato la grande foresta, erano straripate in canali ostruiti da canneti e pozze nascoste tra i falaschi e ricoperte di schiuma, come gli olii delle streghe. Sorgeva su di un'altura bassa e tondeggiante, tra vinchi e ontani; davanti, verso le paludi, c'era un terreno basso a marnoso, coperto da un prato in cui crescevano con lussureggiante abbondanza steli corti e robusti e ciuffi di foglie di mandragora, più rigogliosi e di forma più grande che in qualunque altro posto di quella provincia oppressa dalla stregoneria.

Le radici carnose e biforcute di questa pianta, a detta di molti somiglianti al corpo umano, venivano usate da Gilles e Sabine nella composizione dei filtri amorosi. Le loro pozioni, preparate con gran cura e molta abilità, acquistarono presto una grande fama tra gli abitanti del villaggio, tra i contadini, e persino tra la gente di ceto più elevato, che si recava di nascosto alla casa del mago. Questi filtri, si diceva, infiammavano i petti più freddi e più riservati, fondevano la corazza della più ostinata virtù. Ne conseguì che la richiesta di questi preparati straordinari divenne enorme.

La coppia si dava da fare anche con altre droghe ed erbe medicinali, si occupava di incantesimi e divinazioni; e Gilles, a prestar fede alla credenza comune, sapeva leggere infallibilmente i dettami delle stelle. Cosa piuttosto strana - se si considera il fatto che nel quindicesimo secolo la magia e la stregoneria erano ancora largamente condannate - lui e sua moglie godevano di una buona reputazione e non erano oggetto di nessun malanimo. Non li si accusava di maleficio, anzi, grazie al gran numero di onesti matrimoni favoriti dai filtri, il clero locale si rassegnava a non far conto delle molte relazioni illecite andate in porto con gli stessi mezzi.

È pure vero che all'inizio c'erano quelli che guardavano Gilles di traverso, e chi mormorava impaurito che fosse venuto da Blois, dove tutte le persone che portavano il cognome Grenier erano comunemente ritenute lupi mannari. Queste persone richiamavano l'attenzione sull'eccessiva pelosità del Mago, le cui mani erano nere per una folta peluria e la cui barba cresceva quasi fino agli occhi. Ad ogni modo, insinuazioni del genere vennero considerate mancanti di prove, dal momento che Giles non aveva mai mostrato altri segni caratteristici della licantropia. E col passare del tempo, per le ragioni già indicate, i pochi detrattori di Giles furono sconfitti da un sentimento segreto, ma largamente diffuso, di pubblico favore. Nessuno, neppure i loro protettori, sapeva granché della strana coppia, che manteneva il riserbo proprio di quelli che hanno a che fare con incantesimi e misteri.

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Sabine, una bella donna dagli occhi grigio-azzurri ed i capelli colore del grano maturo, senza nulla dell'aspetto tradizionale delle streghe, era evidentemente molto più giovane di Gilles, che aveva la folta capigliatura e la barba nera già toccate dal bianco ordito del tempo.

I visitatori dicevano di averla sorpresa spesso in aspri battibecchi col marito, e presto la cosa divenne una burla, perché si faceva notare che quelli che fornivano i filtri, avrebbero ben potuto conservarne qualcuno ad uso domestico. Ma, a parte pettegolezzi e licenziosità, non si faceva gran conto della faccenda. I problemi di Gilles e sua moglie, gravi o insignificanti che fossero, non oscuravano in alcun modo la fama dei loro filtri d'amore.

Non si fece molto caso neanche all'assenza di Sabine, quando, cinque anni dopo che la coppia era arrivata ad Averoigne, vicini e clienti notarono che Gilles era solo. In risposta alle domande, il Mago disse semplicemente che sua moglie era partita per un lungo viaggio, per visitare dei parenti in una provincia lontana. La spiegazione venne accettata senza discussioni, ed a nessuno venne in mente che la partenza di Sabine fosse avvenuta senza testimoni.

Si era allora a metà dell'autunno, e Gilles disse a quelli che gliene chiedevano notizie, in modo piuttosto vago, che la moglie non sarebbe tornata prima della primavera. L'inverno arrivò presto, quell'anno, e rimase a lungo, con la neve gelata nella foresta e sugli altopiani, ed una spessa lastra di ghiaccio sulle paludi. Quando la tardiva primavera aprì le argentee gemme dei salici e copri gli ontani di un fogliame verde-giallo, pochi pensarono di chiedere a Gilles qualcosa a proposito del ritorno di sua moglie.

E in seguito, quando le purpuree campanule della mandragora furono sostituite da piccoli pomi color arancio, la sua assenza prolungata venne data per scontata.

Gilles, che viveva tranquillo con i suoi libri ed i suoi calderoni raccogliendo erbe e radici per i suoi medicamenti magici, era ben contento che fosse così. Non credeva che Sabine sarebbe mai tornata; e la sua convinzione era ben lontana dall'essere infondata. Lui l'aveva uccisa una sera d'autunno, durante una lite di insopportabile astiosità, per autodifesa, trapassandole la bianca e morbida gola con un coltello che era riuscito a strapparle di mano, quando l'aveva alzato contro di lui. Più tardi, di notte, sotto i raggi della luna, l'aveva seppellita nel prato, tra le mandragore, rimettendo a posto le zolle con molta cura, così da far sembrare che avesse disturbato le piante solo per scavare qualche radice per i suoi lavoretti quotidiani.

Dopo che si fu sciolta la neve depositatasi sul prato durante l'inverno, lui stesso si ricordava a malapena del posto in cui aveva sotterrato il corpo.

Ad ogni modo, col passare della primavera, notò che in un punto la mandragora cresceva con un'esuberanza ancora maggiore del solito, e si convinse che proprio li ci fosse la tomba. Spesso andava a farle visita e sorrideva con una segreta ironia, compiaciuto piuttosto che turbato al pensiero che quel  nutrimento  cimiteriale  aveva  probabilmente contribuito a

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rendere così lussureggianti le foglie scure e lucenti. In effetti, forse era stata proprio quella l'idea che l'aveva portato a scegliere il prato della mandragora come luogo di sepoltura della moglie assassinata.

Gilles Grenier non aveva rimorsi per aver ucciso Sabine. Fin dall'inizio non erano mai andati d'accordo, e la donna aveva dimostrato nei suoi confronti, nelle liti quotidiane, la malvagità di un demonio. Non amava quella megera; ed era di gran lunga più piacevole per lui stare da solo, senza che il suo carattere tranquillo venisse irritato dai suoi discorsi acidi, e senza che lei gli graffiasse il viso olivastro e gli strappasse la barba grigia con le sue unghie affilate.

Con il ritorno della primavera, come il Mago prevedeva, ci fu una grande richiesta dei suoi filtri d'amore tra gli innamorati respinti e le fanciulle infelici dei dintorni. Venivano da lui anche i gentiluomini che cercavano di vincere un'ostinata castità, e le mogli che desideravano risvegliare una fantasia addormentata o eccitare i desideri proibiti di giovani uomini.

Fu così che divenne necessario per Gilles completare la scorta di pozioni di mandragora; a questo scopo uscì a mezzanotte, sotto la luna piena di maggio, per scavare le radici cresciute di nuovo con cui avrebbe preparato gli incantesimi amatori.

Sorridendo cupamente sotto la barba, cominciò a raccogliere le grandi piante che fiorivano sotto la tomba di Sabine, dissotterrando con molta cura i fittoni simili ad omuncoli, con un curioso spiantatore fabbricato dal femore di una strega.

Per quanto fosse abituato alle forme misteriose e spesso vagamente umane assunte dalla mandragora, Gilles rimase un po' sorpreso, quando vide la prima radice. Appariva di una grandezza fuori dall'ordinario e di un bianco innaturale; inoltre, esaminandola più da vicino, si accorse che somigliava esattamente al busto ed alle gambe di una donna, divise nel mezzo e formate fino alle dieci dita! Non c'erano braccia, comunque, ed il petto finiva in un ciuffo di foglie ovoidali.

Gilles fu più che stupito dal modo in cui la radice sembrò contorcersi quando la strappò dal terreno, La lasciò cadere in fretta e le piccole membra giacquero tremanti sull'erba, Ma, dopo una breve riflessione, considerò il prodigio come un segno di favore da parte di Satana e continuò a scavare. Sbalordito, si accorse che la seconda radice aveva la stessa forma della prima. Man mano che continuava a scavare, ne trovò un'altra mezza dozzina identiche, l'imitazione in miniatura di una donna dal petto ai calcagni; e, tra il terrore superstizioso e la meraviglia con cui le guardava, si accorse della loro straordinaria somiglianza con Sabine.

Questa scoperta lo turbò profondamente, perché la cosa era incomprensibile. Il prodigio, divino o demoniaco che fosse, cominciava ad assumere un aspetto ambiguo e sinistro. Era come se la stessa donna morta fosse ritornata, o avesse plasmato nella mandragora la sua empia immagine.

 

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Mentre scavava sotto un'altra pianta, le mani di Gilles tremavano e, lavorando con meno cura del solito, non gli riuscì di rimuovere l'intera radice, ma vi penetrò a fondo con lo spiantatore d'osso acuminato.

Si accorse di aver mozzato un piede, tagliandolo all'altezza della caviglia. Nello stesso istante, un grido stridulo, come se la stessa voce di Sabine urlasse tra il dolore e la rabbia, sembrò trapassargli le orecchie con intollerabile acutezza, anche se il volume era stranamente basso, come se la voce venisse da lontano. Il grido cessò, e non si ripeté. Gilles, terrorizzato, si ritrovò a fissare lo spiantatore, su cui c'era una macchia scura, simile a sangue.

Tremando, tirò fuori la radice ferita e vide che stillava un liquido sanguigno.

Sulle prime, in preda ad un oscuro timore e ad un'apprensione mista a rimorso, pensò di bruciare le radici che avevano quella oscena e demoniaca rassomiglianza con la strega morta. Le avrebbe allontanate dalla sua vista e da quella degli altri, affinché l'omicidio che aveva commesso non fosse sospettato.

Gli venne in mente che, anche se qualcuno le avesse viste, le radici sarebbero state considerate soltanto una mostruosità di natura e non avrebbero potuto in nessun modo svelare il suo crimine, dal momento che la loro somiglianza con la persona di Sabine era una cosa di cui lui soltanto era a conoscenza.

Inoltre, pensò, era probabile che le radici possedessero virtù straordinarie, e ne avrebbe ricavato filtri di potenza ed efficacia ineguagliabili. Avendo superato del tutto il terrore e la repulsione iniziali, riempì un cestino di vimini di figurine senza testa. Poi fece ritorno al suo tugurio, convinto che il bizzarro fenomeno si sarebbe volto a suo vantaggio, e del tutto incurante e dimentico di un significato più sinistro che altri al suo posto avrebbero letto nella vicenda.

Nella sua audace durezza, non si diede troppo pensiero neanche del fatto che, una volta immerse nel calderone, dalle radici cominciò a scorrere un fiume di materia sanguigna. I sibili empi e furiosi, il folle spumeggiare e ribollire della miscela, come se fosse un brodo demoniaco, li attribuì all'iniqua potenza degli ingredienti. Osò persino scegliere la radice più perfetta e meglio formata, e la appese tra altre radici ed erbe seccate, con l'intenzione di consultarla in futuro come oracolo, com'era costume dei Maghi.

I nuovi filtri, preparati in tal modo, furono acquistati da ansiosi clienti, a cui Gilles si arrischiò a raccomandarli per la loro impareggiabile virtù, che avrebbe acceso d'ardore amoroso un petto di marmo e infiammato persino i morti.

A questo punto, nella vecchia leggenda di Averoigne che vi sto narrando, si dice che l'empio e audace stregone, che non temeva né Dio né il diavolo e neanche la strega defunta, osò scavare ancora nella terra dove era sepolta Sabine, e tirò fuori molte altre radici a forma di donna, che alla sua violenza reagivano con grida stridule e acuti lamenti alla luna calante, contorcendosi come membra vive. E tutte quelle che scavava erano identiche, l'immagine in miniatura, dal petto alle dita dei piedi, di Sabine.

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E si dice che ne ricavasse altri filtri, che intendeva vendere appena se ne fosse presentata l'occasione.

Invece accadde che queste nuove pozioni non furono mai messe in commercio; e delle prime se ne vendettero solo poche, viste le terribili e disgraziate conseguenze che derivavano dal loro uso.

Perché coloro a cui di nascosto era stata somministrata la pozione, sia uomini che donne, non erano mossi dalla benigna furia del desiderio, come normalmente accadeva ma, al contrario, risultavano animati da un'oscura rabbia, spinti da una pazzia bestiale e satanica, che li portava irresistibilmente ad aggredire e persino uccidere la persona che aveva cercato di attirare il loro amore.

I mariti si rivoltavano contro le mogli, le ragazze contro i loro innamorati, con aspre parole di odio e azioni violente. Un giovane che si era recato all'appuntamento promesso fu assalito da una pazza bramosa di vendetta, che gli straziò il volto con le unghie. Un'amante che aveva cercato di ricondurre a sé un cavaliere traditore, fu picchiata furiosamente e uccisa da lui, che fino a quel momento era stato un uomo, se non fedele, impeccabilmente gentile.

A questi disgraziati avvenimenti seguì lo scandalo che avrebbe provocato un'invasione di demoni. Dapprima si pensò che i folli fossero davvero posseduti dal Maligno. Ma quando si venne a sapere dell'uso dei filtri e se ne stabilì con certezza la provenienza, la responsabilità di quella vergogna ricadde su Gilles Grenier, che fu accusato di stregoneria dalle leggi della Chiesa e dello Stato.

I Connestabili che andarono una sera ad arrestarlo, lo trovarono nella sua catapecchia, mentre borbottava chino su un calderone che spumeggiava e ribolliva come se fosse stato riempito da una piena del Flegetonte. Il Mago apparve del tutto ignaro. Non oppose resistenza, ma si mostrò sorpreso quando gli venne detto del deprecabile effetto dei suoi filtri d'amore, senza negare né ammettere l'accusa di stregoneria.

Mentre stavano per andarsene col prigioniero, gli ufficiali udirono una voce sottile e stridula gridare dall'ombra in fondo alla casa, dove erano appesi ciuffi di erbe secche ed altri ingredienti magici.

Sembrava che la voce venisse da una strana radice quasi secca, che somigliava nella forma al busto ed alle gambe di una donna: una radice in parte chiara e in parte annerita dal fumo. Uno dei connestabili riconobbe la voce per quella di Sabine, la moglie del Mago. Tutti giurarono di aver sentito la voce distintamente, e di aver capito queste parole:

«Scavate a fondo nel prato, nel punto in cui le mandragore crescono più fitte.»

Gli ufficiali rimasero terrorizzati, sia da questa voce misteriosa che dall'oscena rassomiglianza della radice, che sembravano entrambe opera di Satana. Per di più, c'era qualche dubbio quanto alla saggezza di obbedire alla magica ingiunzione. Gilles, interrogato sul suo significato, rifiutò di darne un'interpretazione; ma certi  segni di  turbamento  nelle sue maniere  alla fine

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indussero gli ufficiali ad esaminare il prato di mandragora che si stendeva davanti alla casa.

Scavando alla luce di una lanterna nel posto indicato, trovarono molte altre radici, che sembravano riempire tutto il terreno; e sotto le radici apparve il corpo decomposto di una donna, in cui era ancora possibile riconoscere quello di Sabine. In conseguenza di questa scoperta, Gilles Grenier venne arrestato, oltre che per stregoneria, anche per l'omicidio di sua moglie. Fu immediatamente giudicato colpevole di entrambi i crimini, per quanto negasse ostinatamente l'imputazione di maleficio intenzionale ed affermasse fino alla fine di aver ucciso Sabine solo per difendere la propria vita dalla sua furia da megera. Fu appeso alla forca con altri assassini, ed il suo corpo poi bruciato sul rogo.

 

FINE

(Trad. Maria Teresa Tenore)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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